Di biciclette e motociclette a Milano

Tutte le sere, dopo aver messo mio figlio a letto, dopo aver cenato e magari aver visto un film o letto un po’, esco per fare quattro passi sotto casa e fumarmi in santa pace una sigaretta.

L’itinerario che seguo è sempre lo stesso, forse è un po’ maniacale, lo ammetto, ma il giro attorno all’isolato è perfettamente funzionale: mezzo giro per fumare la sigaretta, l’altro mezzo per smaltirla e far vagare la mente per circa 4 minuti (il tempo di una sigaretta, appunto, nonché di mezzo giro).

Ieri sera però, sono successi due avvenimenti slegati tra loro eppure piuttosto inusuali, sia se li si piglia singolarmente, ancor più se i due fenomeni si presentano insieme.

Per farla breve, appena sceso di casa e accesa la sigaretta, sento un chiasso furibondo proveniente dalla circonvallazione (circa 50 metri dall’uscita di casa mia). Cos’era? Un branco di ciclisti di proporzioni spropositate che pedalava libero e felice, biciclette ovunque. Pensavo che oramai i ciclisti milanesi fossero confinati nelle apposite piste ciclabili, un dedalo di percorsi scollegati tra loro e della lunghezza di una cinquantina di metri l’uno, concepiti in maniera casuale probabilmente ognuno da un tecnico del comune che possiede una casa sopra un lembo di asfalto “per bici”. Ci sono poi i ciclisti randagi, quelli da marciapiede, i contromanisti eccetera eccetera, però vederne un branco intero, libero e selvaggio è stato un shock. Oddio, sapevo che a Milano ogni tanto, a questo punto direi il giovedì sera, di notte, alcuni amanti delle due ruote a pedali si ritrovano per fare un bel giro della città, eppure vederli così, tutti insieme, non mi era ancora capitato.

In ogni caso, il risultato è che ho passato tutto il tempo della sigaretta a riflettere sulla necessità di accompagnare la simpatica scampagnata notturna (io l’ho incrociata attorno alle 23.45) con urla e chiasso, eccheccazzo!, magari uno a quell’ora vorrebbe anche dormire.

Ma proprio mentre spegnevo la sigaretta nell’abituale posacenere posto a metà tragitto ecco che è successo il secondo avvenimento: sulla viuzza laterale che mi riporta verso casa si riversa una fiumana di Harley-Davidson che percorrono la piccola stradina sgasando a più non posso. Dopo una rapida preghiera che le mastodontiche moto americane non abbiano svegliato il pargolo mi sono chiesto se forse il giovedì non sia la giornata delle due ruote “come che sia”, perché insomma, passi per i ciclisti, ma pure i motociclisti mi pare esagerato.

Ho percorso l’ultimo lato del mio quadrilatero “sigaretta” con la viva speranza di incontrare qualche altra cosa così fuori dal comune, ma a parte il solito locale con ragazze parcheggiate all’esterno a fumare su comodi trampoli dai 12 ai 15 cm strizzate in microtubini (ma come fanno? Hanno un trucco? Non dev’essere semplice stare in equilibrio senza neanche poter respirare liberamente), che precede il classico pub “radical chick”frequentato perlopiù da giovani hipster (e qualche, ma raro, alternativo vero) il rientro a casa è stato normale: niente mandria di monopattinisti (sarebbe stato quantomeno più originale), solo una signora in bicicletta. Salendo le scale però un dubbio mi ha assalito: la signora seguiva un suo percorso stabilito o era una della “mandria” che si era persa?

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